Ludovico Ariosto

poeta, commediografo, funzionario e diplomatico italiano

«Se mi domanda alcun chi costui sia, | che versa sopra il rio lacrime tante, | io dirò ch'egli è il re di Circassia, | quel d'amor travagliato Sacripante; | io dirò ancor, che di sua pena ria | sia prima e sola causa essere amante, | è pur un degli amanti di costei: | e ben riconosciuto fu da lei.»

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«Appresso ove il sol cade, per suo amore | venuto era dal capo d'Oriente; | che seppe in India con suo gran dolore, | come ella Orlando sequitò in Ponente: | poi seppe in Francia che l'imperatore | sequestrata l'avea da l'altra gente, | per darla all'un de' duo che contra il Moro | più quel giorno aiutasse i Gigli d'oro.»

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«Stato era in campo, e inteso avea di quella | rotta crudel che dianzi ebbe re Carlo: | cercò vestigio d'Angelica bella, | né potuto avea ancora ritrovarlo. | Questa è dunque la trista e ria novella | che d'amorosa doglia fa penarlo, | affligger, lamentare, e dir parole | che di pietà potrian fermare il sole.»

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«Mentre costui così s'affligge e duole, | e fa degli occhi suoi tepida fonte, | e dice queste e molte altre parole, | che non mi par bisogno esser racconte; | l'aventurosa sua fortuna vuole | ch'alle orecchie d'Angelica sian conte: | e così quel ne viene a un'ora, a un punto, | ch'in mille anni o mai più non è raggiunto.»

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«Con molta attenzion la bella donna | al pianto, alle parole, al modo attende | di colui ch'in amarla non assonna; | né questo è il primo dì ch'ella l'intende: | ma dura e fredda più d'una colonna, | ad averne pietà non però scende, | come colei c'ha tutto il mondo a sdegno, | e non le par ch'alcun sia di lei degno.»

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«Non mai con tanto gaudio o stupor tanto | levò gli occhi al figliuolo alcuna madre, | ch'avea per morto sospirato e pianto, | poi che senza esso udì tornar le squadre; | con quanto gaudio il Saracin, con quanto | stupor l'alta presenza e le leggiadre | maniere, e il vero angelico sembiante, | improviso apparir si vide inante.»

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«E fuor di quel cespuglio oscuro e cieco | fa di sé bella ed improvvisa mostra, | come di selva o fuor d'ombroso speco | Diana in scena o Citerea si mostra; | e dice all'apparir: - Pace sia teco; | teco difenda Dio la fama nostra, | e non comporti, contra ogni ragione, | ch'abbi di me sì falsa opinione. -»

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«Ma non però disegna de l'affanno | che lo distrugge alleggierir chi l'ama, | e ristorar d'ogni passato danno | con quel piacer ch'ogni amator più brama: | ma alcuna fizione, alcuno inganno | di tenerlo in speranza ordisce e trama; | tanto ch'a quel bisogno se ne serva, | poi torni all'uso suo dura e proterva.»

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«Pur tra quei boschi il ritrovarsi sola | le fa pensar di tor costui per guida; | che chi ne l'acqua sta fin alla gola | ben è ostinato se mercé non grida. | Se questa occasione or se l'invola, | non troverà mai più scorta sì fida; | ch'a lunga prova conosciuto inante | s'avea quel re fedel sopra ogni amante.»

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«Pieno di dolce e d'amoroso affetto, | alla sua donna, alla sua diva corse, | che con le braccia al collo il tenne stretto, | quel ch'al Catai non avria fatto forse. | Al patrio regno, al suo natio ricetto, | seco avendo costui, l'animo torse: | subito in lei s'avviva la speranza | di tosto riveder sua ricca stanza.»

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«Volta il cavallo, e ne la selva folta | lo caccia per un aspro e stretto calle: | e spesso il viso smorto a dietro volta; | che le par che Rinaldo abbia alle spalle. | Fuggendo non avea fatto via molta, | che scontrò un eremita in una valle, | ch'avea lunga la barba a mezzo il petto, | devoto e venerabile d'aspetto.»

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«Forse era ver, ma non però credibile | a chi del senso suo fosse signore; | ma parve facilmente a lui possibile, | ch'era perduto in via più grave errore. | Quel che l'uom vede, Amor gli fa invisibiIe, | e l'invisibil fa vedere Amore. | Questo creduto fu; che 'l miser suole | dar facile credenza a quel che vuole.»

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«Bradamante, che come era animosa, | così mal cauta, a Pinabel diè fede; | e d'aiutar la donna, disiosa, | si pensa come por colà giù il piede. | Ecco d'un olmo alla cima frondosa | volgendo gli occhi, un lungo ramo vede; | e con la spada quel subito tronca, | e lo declina giù ne la spelonca.»

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«Dove è tagliato, in man lo raccomanda | a Pinabello, e poscia a quel s'apprende: | prima giù i piedi ne la tana manda, | e su le braccia tutta si suspende. | Sorride Pinabello, e le domanda | come ella salti; e le man apre e stende, | dicendole: - Qui fosser teco insieme | tutti li tuoi, ch'io ne spegnessi il seme! -.»

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«Che l'uomo il suo destin fugge di raro.»

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«Non come volse Pinabello avvenne | de l'innocente giovane la sorte; | perché, giù diroccando a ferir venne | prima nel fondo il ramo saldo e forte. | Ben si spezzò, ma tanto la sostenne, | che 'l suo favor la liberò da morte. | Giacque stordita la donzella alquanto, | come io vi seguirò ne l'altro canto.»

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«Uno ne piglia e del capo lo scema.»

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«Chi brama onor di sprone o di capello, serva re, duca, cardinale o papa; io no, che poco curo questo e quello.»

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«Quel che l'uom vede, Amor gli fa invisibile, e l'invisibil fa vedere l'Amore.»

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«Ch'a donna non si fa maggior dispetto, che quando o vecchia o brutta le vien detto.»

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