Ludovico Ariosto

poeta, commediografo, funzionario e diplomatico italiano

«Così dicendo, alla cima superna | del solitario monte il destrier caccia, | mirando pur s'alcuna via discerna, | come lei possa tor da la sua traccia. | Ecco nel sasso truova una caverna, | che si profonda più di trenta braccia. | Tagliato a picchi ed a scarpelli il sasso | scende giù al dritto, ed ha una porta al basso.»

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«Poi che si vide il traditore uscire, | quel ch'avea prima disegnato, invano, | o da sé torla, o di farla morire, | nuovo argumento imaginossi e strano. | Le si fè incontra, e su la fè salire | là dove il monte era forato e vano; | e le disse ch'avea visto nel fondo | una donzelIa di viso giocondo.»

VOTI: 1

«Pur si ritrova ancor su la rivera, | là dove l'elmo gli cascò ne l'onde. | Poi che la donna ritrovar non spera, | per aver l'elmo che 'l fiume gli asconde, | in quella parte onde caduto gli era | discende ne l'estreme umide sponde: | ma quello era sì fitto ne la sabbia, | che molto avrà da far prima che l'abbia.»

VOTI: 1

«Con un gran ramo d'albero rimondo, | di ch'avea fatto una pertica lunga, | tenta il fiume e ricerca sino al fondo, | né loco lascia ove non batta e punga. | Mentre con la maggior stizza del mondo | tanto l'indugio suo quivi prolunga, | vede di mezzo il fiume un cavalliero | insino al petto uscir, d'aspetto fiero.»

VOTI: 1

«Fugge tra selve spaventose e scure, | per lochi inabitati, ermi e selvaggi. | Il mover de le frondi e di verzure, | che di cerri sentia, d'olmi e di faggi, | fatto le avea con subite paure | trovar di qua di là strani viaggi; | ch'ad ogni ombra veduta o in monte o in valle, | temea Rinaldo aver sempre alle spalle.»

VOTI: 1

«- Se mal si seppe il cavallier d'Anglante | pigliar per sua sciocchezza il tempo buono, | il danno se ne avrà; che da qui inante | nol chiamerà Fortuna a sì gran dono | (tra sé tacito parla Sacripante): | ma io per imitarlo già non sono, | che lasci tanto ben che m'è concesso, | e ch'a doler poi m'abbia di me stesso.»

VOTI: 1

«Così dice egli; e mentre s'apparecchia | al dolce assalto, un gran rumor che suona | dal vicin bosco gl'intruona l'orecchia, | sì che mal grado l'impresa abbandona: | e si pon l'elmo (ch'avea usanza vecchia | di portar sempre armata la persona), | viene al destriero e gli ripon la briglia, | rimonta in sella e la sua lancia piglia.»

VOTI: 1

«Non si vanno i leoni o i tori in salto | a dar di petto, ad accozzar sì crudi, | sì come i duo guerrieri al fiero assalto, | che parimente si passar li scudi. | Fè lo scontro tremar dal basso all'alto | l'erbose valli insino ai poggi ignudi; | e ben giovò che fur buoni e perfetti | gli osberghi sì, che lor salvaro i petti.»

VOTI: 1

«Già non fero i cavalli un correr torto, | anzi cozzaro a guisa di montoni: | quel del guerrier pagan morì di corto, | ch'era vivendo in numero dè buoni: | quell'altro cadde ancor, ma fu risorto | tosto ch'al fianco si sentì gli sproni. | Quel del re saracin restò disteso | adosso al suo signor con tutto il peso.»

VOTI: 1

«L'incognito campion che restò ritto, | e vide l'altro col cavallo in terra, | stimando avere assai di quel conflitto, | non si curò di rinovar la guerra; | ma dove per la selva è il camin dritto, | correndo a tutta briglia si disserra; | e prima che di briga esca il pagano, | un miglio o poco meno è già lontano.»

VOTI: 1

«Qual istordito e stupido aratore, | poi ch'è passato il fulmine, si leva | di là dove l'altissimo fragore | appresso ai morti buoi steso l'aveva; | che mira senza fronde e senza onore | il pin che di lontan veder soleva: | tal si levò il pagano a piè rimaso, | Angelica presente al duro caso.»

VOTI: 1

«Mentre costei conforta il Saracino, | ecco col corno e con la tasca al fianco, | galoppando venir sopra un ronzino | un messagger che parea afflitto e stanco; | che come a Sacripante fu vicino, | gli domandò se con un scudo bianco | e con un bianco pennoncello in testa | vide un guerrier passar per la foresta.»

VOTI: 1

«Ella è gagliarda ed è più bella molto; | né il suo famoso nome anco t'ascondo: | fu Bradamante quella che t'ha tolto | quanto onor mai tu guadagnasti al mondo. - | Poi ch'ebbe così detto, a freno sciolto | il Saracin lasciò poco giocondo, | che non sa che si dica o che si faccia, | tutto avvampato di vergogna in faccia.»

VOTI: 1

«Smonta il Circasso ed al destrier s'accosta, | e si pensava dar di mano al freno. | Colle groppe il destrier gli fa risposta, | che fu presto al girar come un baleno; | ma non arriva dove i calci apposta: | misero il cavallier se giungea a pieno! | Che nei calci tal possa avea il cavallo, | ch'avria spezzato un monte di metallo.»

VOTI: 1

«Non furo iti due miglia, che sonare | odon la selva che li cinge intorno, | con tal rumore e strepito, che pare | che triemi la foresta d'ogn'intorno; | e poco dopo un gran destrier n'appare, | d'oro guernito e riccamente adorno, | che salta macchie e rivi, ed a fracasso | arbori mena e ciò che vieta il passo.»

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«Non risponde ella, e non sa che si faccia, | perché Rinaldo ormai l'è troppo appresso, | che da lontan al Saracin minaccia, | come vide il cavallo e conobbe esso, | e riconohbe l'angelica faccia | che l'amoroso incendio in cor gli ha messo. | Quel che seguì tra questi duo superbi | vò che per l'altro canto si riserbi.»

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«- Son dunque (disse il Saracino), sono | dunque in sì poco credito con vui, | che mi stimiate inutile e non buono | da potervi difender da costui? | Le battaglie d'Albracca già vi sono | di mente uscite, e la notte ch'io fui | per la salute vostra, solo e nudo, | contra Agricane e tutto il campo, scudo? -.»

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«Indi va mansueto alla donzella, | con umile sembiante e gesto umano, | come intorno al padrone il can saltella, | che sia duo giorni o tre stato lontano. | Baiardo ancora avea memoria d'ella, | ch'in Albracca il servia già di sua mano | nel tempo che da lei tanto era amato | Rinaldo, allor crudele, allor ingrato.»

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«Rinaldo al Saracin con molto orgoglio | gridò: - Scendi, ladron, del mio cavallo! | Che mi sia tolto il mio, patir non soglio, | ma ben fo, a chi lo vuol, caro costallo: | e levar questa donna anco ti voglio; | che sarebbe a lasciartela gran fallo. | Sì perfetto destrier, donna sì degna | a un ladron non mi par che si convegna. -.»

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«- Tu te ne menti che ladrone io sia | (rispose il Saracin non meno altiero): | chi dicesse a te ladro, lo diria | (quanto io n'odo per fama) più con vero. | La pruova or si vedrà, chi di noi sia | più degno de la donna e del destriero; | ben che, quanto a lei, teco io mi convegna | che non è cosa al mondo altra sì degna. -.»

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