Eugenio Montale

poeta, traduttore, scrittore, filosofo, giornalista, critico letterario e politico italiano

Una delle tre corone del Novecento, premio Nobel nel 1965. Non sono però i titoli da “poeti laureati” a contraddistinguerlo ma una arte fatta di piccole cose. Questo perché: i poeti laureati | si muovono soltanto fra le piante | dai nomi poco usati. Lui preferisce i bossi ligustri, gli acanti e i girasoli. Fin dalla più antica lirica di "Ossi di seppia" (1925).

Una poetica umile come l’osso di seppia scavato dal mare, quel mare-padre come lo definì in Mediterraneo e che rappresenta il suo rapporto privilegiato in cui riconosciamo le sue origini genovesi:

Antico, sono ubriacato dalla voce / ch'esce dalle tue bocche quando si schiudono / come verdi campane e si ributtano / indietro e si disciolgono.

Quella di Montale è una analisi lucida della realtà, il poeta deve trovare “una maglia rotta nella rete" ma alla fine scopre la “divina indifferenza" e “il male di vivere” che affligge inevitabilmente l’uomo.

Il retaggio leopardiano, la sfida al linguaggio classico, la ricerca della parola cesellata per ordinare il caos della realtà, le muse onnipresenti anche in absentia:

Ho sceso, dandoti il braccio almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.

data: 06/02/14 autore:

«Il tempo degli eventi è diverso dal nostro.»

tag: tempo
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«La morte odora di resurrezione.»

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«L'uomo coltiva la propria infelicità per avere il gusto di combatterla a piccole dosi. Essere sempre infelici, ma non troppo, è condizione sine qua non di piccole e intermittenti felicità.»

tag: felicita e tristezza
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«L'uomo è come il vino: non tutti i vini invecchiando migliorano alcuni inacidiscono.»

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«Ma in attendere è gioia più compita.»

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«Molti affetti sono abitudini o doveri che non troviamo il coraggio di interrompere.»

tag: coraggio
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«Sogno che un giorno nessuno farà più gol in tutto il mondo.»

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«La morte odora di resurrezione.»

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«..uno sbaglio di natura il punto morto del mondo, l'anello che non tiene, il filo da disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità....»

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«Felicità raggiunta, si cammina | per te sul fil di lama. | Agli occhi sei barlume che vacilla | al piede, teso ghiaccio che s'incrina; | e dunque non ti tocchi chi più t'ama. | | Se giungi sulle anime invase | di tristezza e le schiari, il tuo mattino | è dolce e turbatore come i nidi delle cimase. | Ma nulla paga il pianto di un bambino | a cui fugge il pallone tra le case.»

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«Forse un mattino andando in un'aria di vetro, | arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo: | il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro | di me, con un terrore da ubriaco. | | Poi, come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto | alberi, case, colli per l'inganno consueto. | Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto | tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.»

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«Mia vita, a te non chiedo lineamenti | fissi, volti plausibili o possessi. | Nel tuo giro inquieto ormai lo stesso | sapore han miele e assenzio. | | Il cuore che ogni moto tiene a vile | raro è squassato da trasalimenti. | Così suona talvolta nel silenzio | della campagna un colpo di fucile.»

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«Spesso il male di vivere ho incontrato: | era il rivo strozzato che gorgoglia, | era l'incartocciarsi della foglia | riarsa, era il cavallo stramazzato. | Bene non seppi; fuori del prodigio | che schiude la divina Indifferenza: | era la statua nella sonnolenza | del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.»

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«Gloria del disteso mezzogiorno | quand'ombra non rendono gli alberi, | e piú e piú si mostrano d'attorno | per troppa luce, le parvenze, falbe. | | Il sole, in alto, - e un secco greto. | Il mio giorno non è dunque passato: | l'ora piú bella è di là dal muretto | che rinchiude in un occaso scialbato. | | L'arsura, in giro; un martin pescatore | volteggia s'una reliquia di vita. | La buona pioggia è di là dallo squallore, | ma in attendere è gioia piú compita.»

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«Non si nasconde fuori | dal mondo chi lo salva e non lo sa. | E' uno come noi, non dei migliori.»

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«Se il mondo va alla malora | non è solo colpa degli uomini. | Così diceva una svampita | pipando una granita col chalumeau | al Cafè de Paris. | Non so chi fosse. A volte il Genio è quasi | una cosa da nulla, un colpo di tosse.»

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«Il mio sogno non sorge mai dal grembo | Delle stagioni, ma nell'intemporaneo | Che vive dove muoiono le ragioni | e Dio sa s'era tempo; o s'era inutile.»

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«Upupa, ilare uccello calunniato | dai poeti, che roti la tua cresta | sopra l'aereo stollo del pollaio | e come un finto gallo giri al vento; | nunzio primaverile, upupa, come | per te il tempo s'arresta, | non muore più il Febbraio, | come tutto di fuori si protende | al muover del tuo capo, | aligero folletto, e tu lo ignori.»

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«Dicono che la mia | sia una poesia d'inappartenenza. | Ma s'era tua era di qualcuno: | di te che non sei più forma, ma essenza. | Dicono che la poesia al suo culmine | magnifica il Tutto in fuga, | negano che la testuggine... »

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«Pareva facile giuoco | mutare in nulla lo spazio | che m'era aperto, in un tedio | malcerto il certo tuo fuoco. | | Ora a quel vuoto ho congiunto | ogni mio tardo motivo... »

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