Ludovico Ariosto

poeta, commediografo, funzionario e diplomatico italiano

Ludovico Ariosto è stato un poeta italiano, celebre per aver composto L’orlando furioso. Abbandonati gli studi di Giurisprudenza a cui lo aveva costretto il padre, fu costretto, per ottenere una stabilità economica e godere dei privilegi e i benefici ecclesiastici, a prendere gli ordini minori, entrando al servizio del cardinale Ippolito d'Este.
 
 
Natura il fece, e poi ruppe la stampa.
 
 
Ebbe una storia d’amore Alessandra Benucci, sposata  con un suo amico. Fu impiegato presso il Duca Alfonso, e nonostante non avesse un gran rispetto riguardo la vita di corte svolse innumerevoli attività per Alfonso. Per lui era importante la libertà dell’individuo scrisse la prima "satira". Riuscì a sposare la Benucci, rimasta vedova e da lì in poi, poté contare su una certa agiatezza economica e dedicarsi completamente alla scrittura.
 
 
Le donne, i cavalier, l'arme, gli amori,
Le cortesie, l'audaci imprese io canto
Che furo al tempo che passano i Mori
 D'Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
Seguendo l'ire e i giovenil furori
D'Agramante lor re, che si diè vanto
 Di vendicar la morte di Troiano
 Sopra re Carlo imperator romano.
data: 10/17/14 autore:

«Ch'a donna non si fa maggior dispetto, che quando o vecchia o brutta le vien detto.»

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«Natura il fece, e poi ruppe la stampa.»

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«Le donne, i cavalier, l'arme, gli amori, | Le cortesie, l'audaci imprese io canto | Che furo al tempo che passano i Mori | D'Africa il mare, e in Francia nocquer tanto, | Seguendo l'ire e i giovenil furori | D'Agramante lor re, che si diè vanto | Di vendicar la morte di Troiano | Sopra re Carlo imperator romano.»

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«Per far al re Marsilio e al re Agramante | battersi ancor del folle ardir la guancia, | d'aver condotto, l'un, d'Africa quante | genti erano atte a portar spada e lancia; | l'altro, d'aver spinta la Spagna inante | a destruzion del bel regno di Francia. | E così Orlando arrivò quivi a punto: | ma tosto si pentì d'esservi giunto:.»

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«Che vi fu tolta la sua donna poi: | ecco il giudicio uman come spesso erra! | Quella che dagli esperi ai liti eoi | avea difesa con sì lunga guerra, | or tolta gli è fra tanti amici suoi, | senza spada adoprar, ne la sua terra. | Il savio imperator, ch'estinguer volse | un grave incendio, fu che gli la tolse.»

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«Nata pochi dì inanzi era una gara | tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo, | che entrambi avean per la bellezza rara | d'amoroso disio l'animo caldo. | Carlo, che non avea tal lite cara, | che gli rendea l'aiuto lor men saldo, | questa donzella, che la causa n'era, | tolse, e diè in mano al duca di Bavera;.»

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«Voi sentirete fra i più degni eroi, | che nominar con laude m'apparecchio, | ricordar quel Ruggier, che fu di voi | e dè vostri avi illustri il ceppo vecchio. | L'alto valore è chiari gesti suoi | vi farò udir, se voi mi date orecchio, | e vostri alti pensieri cedino un poco, | sì che tra lor miei versi abbiano loco.»

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«Dirò d'Orlando in un medesmo tratto | cosa non detta in prosa mai, né in rima: | che per amor venne in furore e matto, | d'uom che sì saggio era stimato prima; | se da colei che tal quasi m'ha fatto, | che 'l poco ingegno ad or ad or mi lima, | me ne sarà però tanto concesso, | che mi basti a finir quanto ho promesso.»

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«Al pagan la proposta non dispiacque: | così fu differita la tenzone; | e tal tregua tra lor subito nacque, | sì l'odio e l'ira va in oblivione, | che 'l pagano al partir da le fresche acque | non lasciò a piedi il buon figliuol d'Amone: | con preghi invita, ed al fin toglie in groppa, | e per l'orme d'Angelica galoppa.»

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«Piacciavi, generosa Erculea prole, | ornamento e splendor del secol nostro, | Ippolito, aggradir questo che vuole | e darvi sol può l'umil servo vostro. | Quel ch'io vi debbo, posso di parole | pagare in parte e d'opera d'inchiostro; | né che poco io vi dia da imputar sono, | che quanto io posso dar, tutto vi dono.»

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«Orlando, che gran tempo innamorato | fu de la bella Angelica, e per lei | in India, in Media, in Tartaria lasciato | avea infiniti ed immortal trofei, | in Ponente con essa era tornato, | dove sotto i gran monti Pirenei | con la gente di Francia e de Lamagna | re Carlo era attendato alla campagna,.»

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«Indosso la corazza, l'elmo in testa, | la spada al fianco, e in braccio avea lo scudo; | e più leggier correa per la foresta, | ch'al pallio rosso il villan mezzo ignudo. | Timida pastorella mai sì presta | non volse piede inanzi a serpe crudo, | come Angelica tosto il freno torse, | che del guerrier, ch'a piè venìa, s'accorse.»

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«in premio promettendola a quel d'essi, | ch'in quel conflitto, in quella gran giornata, | degl'infideli più copia uccidessi, | e di sua man prestasse opra più grata. | Contrari ai voti poi furo i successi; | ch'in fuga andò la gente battezzata, | e con molti altri fu 'l duca prigione, | e restò abbandonato il padiglione.»

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«Era costui quel paladin gagliardo, | figliuol d'Amon, signor di Montalbano, | a cui pur dianzi il suo destrier Baiardo | per strano caso uscito era di mano. | Come alla donna egli drizzò lo sguardo, | riconobbe, quantunque di lontano, | l'angelico sembiante e quel bel volto | ch'all'amorose reti il tenea involto.»

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«Cominciar quivi una crudel battaglia, | come a piè si trovar, coi brandi ignudi: | non che le piastre e la minuta maglia, | ma ai colpi lor non reggerian gl'incudi. | Or, mentre l'un con l'altro si travaglia, | bisogna al palafren che 'l passo studi; | che quanto può menar de le calcagna, | colei lo caccia al bosco e alla campagna.»

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«Dove, poi che rimase la donzella | ch'esser dovea del vincitor mercede, | inanzi al caso era salita in sella, | e quando bisognò le spalle diede, | presaga che quel giorno esser rubella | dovea Fortuna alla cristiana fede: | entrò in un bosco, e ne la stretta via | rincontrò un cavallier ch'a piè venìa.»

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«Quanto fia meglio, amandola tu ancora, | che tu le venga a traversar la strada, | a ritenerla e farle far dimora, | prima che più lontana se ne vada! | Come l'avremo in potestate, allora | di chi esser dè si provi con la spada: | non so altrimenti, dopo un lungo affanno, | che possa riuscirci altro che danno. -.»

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«E perché era cortese, e n'avea forse | non men dè dui cugini il petto caldo, | l'aiuto che potea tutto le porse, | pur come avesse l'elmo, ardito e baldo: | trasse la spada, e minacciando corse | dove poco di lui temea Rinaldo. | Più volte s'eran già non pur veduti, | m'al paragon de l'arme conosciuti.»

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«Nel fondo avea una porta ampla e capace, | ch'in maggior stanza largo adito dava; | e fuor n'uscìa splendor, come di face | ch'ardesse in mezzo alla montana cava. | Mentre quivi il fellon suspeso tace, | la donna, che da lungi il seguitava | (perché perderne l'orme si temea), | alla spelonca gli sopragiungea.»

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«Come è più appresso, lo sfida a battaglia; | che crede ben fargli votar l'arcione. | Quel che di lui non stimo già che vaglia | un grano meno, e ne fa paragone, | l'orgogliose minacce a mezzo taglia, | sprona a un tempo, e la lancia in resta pone. | Sacripante ritorna con tempesta, | e corronsi a ferir testa per testa.»

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